I mesi scorsi ci hanno visti costretti a modificare repentinamente le nostre abitudini, mettendo in discussione anche lo stesso concetto di vita in città, immaginando un prossimo ritorno alla campagna e un nuovo modello di residenza lontana dai centri urbani. Sono però molti i segnali che testimoniano come la pandemia abbia piuttosto rafforzato il ruolo delle città come centri di interazione e scambio. Un contesto nel quale il modello di città italiana, lontano dal concetto di megalopoli, potrebbe tornare ad essere una fonte d’ispirazione per progettare le città del futuro.
Mario Calabresi, giornalista e scrittore
Ne abbiamo parlato con Mario Calabresi e con gli ospiti del dialogo Rigenerazione Italia, organizzato da COIMA per approfondire le tematiche legate alla rigenerazione del territorio italiano come grande opportunità di crescita e rilancio per il Paese, a cui hanno preso parte Manfredi Catella, CEO di COIMA, l’architetto e senatore a vita Renzo Piano, l’amministratore delegato di Webuild, Pietro Salini, e Francesca Bria, Presidente di CDP Venture Capital SGR.
La struttura tradizionale dei nostri centri urbani può giocare un ruolo chiave nella difficile fase di ripartenza che si apre di fronte a noi a seguito del varo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Le città italiane, storicamente caratterizzate da distanze brevi e da quartieri connessi, possono infatti rappresentare un modello virtuoso di organizzazione e di condivisione per i Paesi di tutto il mondo e un elemento di attrazione, di persone e investimenti, verso il nostro Paese.
Manfredi Catella, Founder & CEO, COIMA
È questo il pensiero di Manfredi Catella, che vede nella rigenerazione urbana un processo necessario per valorizzare questa peculiarità delle città italiane. Un percorso che, però, si presenta molto lungo: “nel nostro Paese occorrerebbe rigenerare 100 milioni di metri quadri, se si pensa che in Italia il 70% degli edifici è a rischio sismico e che il 40% del patrimonio immobiliare ha più di sessant’anni. Rigenerare le nostre città permetterebbe, inoltre, una riduzione del 15% delle emissioni di CO2 italiane e creerebbe tra i duecento e i trecentomila posti di lavoro all’anno, con una notevole riduzione dell’attuale divario territoriale”.
E sono proprio le disparità e le differenze quelle che oggi e nel futuro post-pandemico è necessario superare, promuovendo il concetto di un unico spazio urbano in cui, grazie a moderne ed efficienti infrastrutture, non avrà più senso distinguere tra centro e periferia e tutto sarà facilmente raggiungibile in pochi minuti.
Leggi anche: Il territorio italiano è la grande risorsa per la ripresa
Renzo Piano, Architetto e senatore a vita
Ph. Stefano Goldberg
“Rammendare è un’arte straordinaria, non è un rattoppare, ma ricucire, tenere assieme. Il rammendo del territorio, idrogeologico, forestale, sismico, di connessione infrastrutturale tecnologica e anche fisica, è importante perché riguarda l’idea stessa di città, ben lungi dallo scomparire: la città è la polis, città e civiltà si somigliano, hanno la stessa radice. L’idea moderna di città deve uniformarsi a quella di territorio, di città diffusa che si spinge oltre includendo le campagne e le periferie, in cui risiede l’80% delle persone che popolano ogni giorno la città”. Secondo Renzo Piano “la vera contrapposizione da cui partire non è quella tra città e campagna. La campagna è solo una città diffusa. L’opposto della città è il deserto, uno spazio in cui non può esserci relazione, scambio, crescita condivisa”.
Non bisogna considerare le periferie come qualcosa da eliminare, a causa del fatto che questo termine ha assunto, nel corso del tempo, un’accezione negativa. Occorre, al contrario, renderle vive, connettendole con il centro urbano. Più saremo in grado di favorire questa connessione, prima creeremo un contesto in cui, chiunque, indipendentemente dal luogo o dal quartiere in cui abita, potrà raggiungere tutti i servizi di cui ha bisogno in soli 15 minuti.
Leggi anche: La pianificazione delle città resilienti
Pietro Salini, CEO, Webuild
Per ripensare le città in modo inclusivo occorre ripartire dai reali bisogni dei cittadini e del nostro Paese: “una delle prime cose da fare riguarda sicuramente la manutenzione dell’esistente. Ciò significa rimodernare gli edifici, ma anche le infrastrutture che permetterebbero, tra le altre cose, un pieno sviluppo della mobilità sostenibile”, puntualizza Pietro Salini. Un sistema infrastrutturale efficiente, inoltre, consentirebbe di collegarci in modo rapido anche a centri più piccoli o a zone dell’Italia più remote, oggi difficili da raggiungere in poco tempo, dotandole di una mission, di un obiettivo che le renda vive e produttive, e modificando in modo significativo i flussi di persone tra le diverse aree del Paese, favorendo ulteriormente i contatti reciproci.
Francesca Bria, Presidente di CDP Venture Capital SGR
Le infrastrutture, fisiche e digitali, emergeranno dunque come uno strumento fondamentale a servizio della trasformazione delle nostre città attraverso un approccio che parte dalle sfide urbane e sociali. Secondo Francesca Bria “la tecnologia può diventare parte di una visione della città che mira a connettere il nord e il sud Italia, il centro con le periferie, i borghi e le campagne. Sono i cittadini i primi attori da coinvolgere per progettare il futuro delle nostre città e le nostre smart cities devono diventare un laboratorio a cielo aperto in cui mettere in pratica in modo concreto tutti i piani e i progetti legati ai temi della mobilità sostenibile e della digitalizzazione”.
Leggi anche: Città, capitali e competenze per una ripresa sostenibile
Dunque, l’impegno del nostro Paese per il prossimo futuro sarà quello di unire ancor di più il suo territorio, cercando di tenere insieme elementi che fino a oggi sono stati considerati quasi in contrapposizione, valorizzando la bellezza di tutti i suoi luoghi, eliminando le differenziazioni e offrendo ai propri abitanti un maxi spazio urbano iper-connesso, in cui tutto sarà facilmente accessibile e raggiungibile.
In modo che tutti, tra qualche anno, non parlino più solo di un modello cittadino italiano - fatto di piccole città e brevi distanze - ma riconoscano come l’Italia stessa sia ormai diventata una città diffusa.