La variazione delle temperature e dei modelli meteorologici tradizionali, fenomeno che ci siamo abituati a chiamare cambiamento climatico, è una delle principali sfide delle amministrazioni e della progettazione urbana per i prossimi anni. Una delle strategie più promettenti prevede di rendere le nostre città sistemi quanto più possibili autosufficienti dal punto di vista della gestione e del riciclo dell’acqua; oggi sono moltissime le iniziative messe in campo, in Italia e all’estero, per contrastare gli effetti del climate change e per rendere i comuni che li ospitano più virtuosi dal punto di vista della sostenibilità attraverso un particolare tipo di giardino urbano chiamato “Rain Garden”: uno spazio verde utilizzato per controllare il filtraggio dell’acqua piovana consegnandola all’impianto fognario in maniera più lenta e più pulita possibile.
Approfondiamo questo fenomeno in forte espansione con la prof.ssa Laura Gatti, Specialista in Parchi e Giardini e docente di “Realizzazione del Verde” presso la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano. “I Rain Garden, ideati per la prima volta negli Stati Uniti negli anni Novanta con l’ambizione di essere non delle semplici aree verdi, ma dei veri e propri sistemi complessi e multifunzionali, possono oggi rappresentare un decisivo cambio di passo verso un approccio più sostenibile ed ecologico nella gestione delle acque urbane. Sono senza dubbio degli esempi virtuosi ed economici di rigenerazione urbana e di progettazione nature-based in grado di rendere i territori più resilienti ai cambiamenti climatici: si tratta di aree verdi, generalmente poste a un livello ribassato e dotate di un substrato altamente drenante, pensate appositamente per accogliere temporanei accumuli di acqua piovana”.
Se i Rain Gardens sono ormai elementi imprescindibili dei progetti urbani degli ultimi anni, l’integrazione della natura nell’ambiente urbano non è importante solo in termini di sostenibilità, ma permette di rispondere a diverse esigenze nell’ambito della gestione degli spazi urbani: “Oltre a essere utili per mantenere sotto controllo le acque piovane, queste soluzioni offrono molti altri vantaggi ambientali e sociali”, precisa la Prof.ssa Gatti. “Solo per fare degli esempi, i Rain Gardens contribuiscono al raffrescamento delle città e alla valorizzazione della biodiversità, migliorano la qualità dell’aria, riducono le isole urbane di calore e promuovono una connessione più profonda tra uomo e natura, aumentando la consapevolezza dei cittadini sugli aspetti ambientali”.
Prof.ssa Laura Gatti, Specialista in Parchi e Giardini e docente di “Realizzazione del Verde” presso la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano
Ma non è tutto. In grado di trattenere anche più del 50% dell’acqua piovana per rilasciarla poi gradualmente nel sistema fognario e impedirne il collasso in caso di alluvioni, i Rain Gardens possono rivelarsi preziosi strumenti per limitare i danni in caso di fenomeni climatici estremi, ormai sempre più frequenti, ed evitano problemi di infiltrazione, in quanto permettono di convogliare le acque in aree non edificate.
“Un aspetto fondamentale da valutare per la realizzazione di questi ‘giardini della pioggia’ riguarda sicuramente la scelta della vegetazione, grazie alla quale si realizza una forma di depurazione delle acque prima che vengano convogliate nell’acquifero superficiale”, interviene la prof.ssa. “Il numero delle piante potenzialmente utilizzabili è molto ampio, ma si prediligono da una parte quelle adatte a tollerare sia periodi secchi sia di grandi piogge, oltre a condizioni di elevata umidità in profondità, e dall’altra le specie autoctone, al fine di preservare e incrementare la biodiversità locale”. Tra le specie che si sono rivelate più promettenti, secondo una ricerca con focus sul Veneto pubblicata sulla rivista Urban Forestry and Urban Greening, ci sono la Hemerocallis Hybrida, l’Astro settembrino, il giaggiolo acquatico, la gramigna liscia e la margherita gialla.
Appurati i numerosi benefici, da oltre un decennio i Rain Gardens sono entrati a far parte delle Landscape regulations di moltissime città in tutto il mondo, dove assumono diverse configurazioni. “Dalle soluzioni in ambito residenziale o di vicinato a quelle per le città, con sistemi di drenaggio urbano efficienti e sostenibili, fino alle aree di bioritenzione vegetale, le categorie di Rain Gardens sono in continua evoluzione. La conditio sine qua non per la realizzazione è che vi sia un’area verde larga almeno 1,5 metri, lontana dai sottoservizi e da strutture edificate e al fianco di una strada, un marciapiede o una pista ciclabile”.
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Sono molti gli esempi virtuosi che giungono dall’estero. Ad Adelaide, in Australia, è stato implementato il programma “Water Sensitive Urban Design” (WSUD), un approccio alla pianificazione urbana che integra la gestione del ciclo dell’acqua nel processo di sviluppo della città, mentre a Maplewood, nel Minnesota, ci sono 450 Rain Gardens per 30.000 abitanti, una percentuale altissima di giardini al servizio della città e interamente curati e mantenuti dagli abitanti. In Europa la città più all’avanguardia è sicuramente Londra, che ha mappato tutte le iniziative di drenaggio urbano implementate negli ultimi anni invitando i cittadini a creare i propri. Sul continente, il parco cittadino Hans Tavsense Korsgade di Copenaghen offre un esempio di riciclo al servizio del benessere pubblico: l’acqua piovana in eccesso raccolta dai Rain Gardens è guidata verso i laghi della città e contribuisce all'irrigazione e al miglioramento del microclima locale.
Parco 8 Marzo nel quartiere milanese di Porta Vittoria, un modello innovativo di gestione delle acque piovane.
E l’Italia? “Le regioni che si stanno muovendo più rapidamente sono sicuramente la Lombardia e l’Emilia-Romagna”, afferma la prof.ssa Gatti. “A Milano, ad esempio, il Parco 8 marzo, nel quartiere di Porta Vittoria, rappresenta un modello innovativo di gestione delle acque piovane, in maniera totalmente ecologica e senza l'uso di materiali plastici, in un contesto urbano densamente popolato. Si tratta di un ampio progetto di riqualificazione urbana che ha dotato il capoluogo lombardo di un’area verde di oltre 28.000 metri quadrati con spazi ricreativi per i cittadini, creando al contempo un habitat ricco di biodiversità”.
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Analogamente, in Emilia-Romagna, l'adozione di linee guida per la progettazione e la pianificazione urbana che includono i Rain Gardens evidenzia l'impegno della regione verso soluzioni sostenibili e resilienti al cambiamento climatico. “Un altro caso interessante è l’Urban Wetland di Trento, un progetto ideato per il trattamento e il riuso delle acque piovane attraverso un sistema di fitodepurazione integrato nelle aree a giardino, che ha permesso di realizzare un’area fruibile e di alta qualità paesaggistica ed architettonica, razionalizzando l’uso delle risorse idriche”.
Sebbene i Rain Gardens si integrino armoniosamente con il tessuto urbano, migliorando la resilienza delle città alle sfide climatiche e la qualità della vita degli abitanti, talvolta la loro implementazione ha causato dei malcontenti, come spiega la prof.ssa Gatti: “Qualche tempo fa, ad esempio, la riconfigurazione dello spazio urbano in via Pacini, a Milano, con la creazione di un’ampia area alberata e di un Rain Garden, ha comportato la riduzione dei posti auto e la conseguente resistenza iniziale dei cittadini a cui, attraverso il dialogo costruttivo, è stato presto dimostrato che i vantaggi della creazione di queste aree verdi superavano di gran lunga le contestazioni”.
I Rain Gardens sono dunque soluzioni naturali di rigenerazione urbana che permettono da un lato di dare un nuovo volto ad alcune aree della città e, dall’altro, di attenuare i rischi di allagamenti e di inquinamento dei corsi d’acqua. “Ciò che ci si auspica per il futuro è che la diffusione su larga scala di questi bacini di stoccaggio temporaneo delle acque, dotati anche di una funzione di abbellimento estetico, possa contribuire allo sviluppo di luoghi multifunzionali, in grado di offrire benefici alla comunità e all’ambiente”.
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