Le città del futuro? A misura d'uomo. Parola di Stefano Boeri

In un contesto in continua evoluzione, eventi critici e cambiamenti climatici impongono di pensare in modo nuovo alla relazione tra persone, natura e spazi abitati.

16/01/2021

Lo sviluppo di spazi urbani sostenibili e resilienti che possano rappresentare un motore per l’innovazione in Italia è sicuramente una delle priorità per la crescita del Paese che gli effetti derivati dalla pandemia hanno reso ancora più rilevante.

Per dare un impulso a questa prospettiva, COIMA ha costituito COIMA City Lab: un think tank di architetti di livello internazionale che ha l’obiettivo di svolgere un ruolo strategico nel tracciare le linee guida per la creazione degli spazi urbani a venire, anche come contributo culturale allo sviluppo del territorio italiano come risorsa fondamentale del Paese.

Urban Stories ha incontrato Stefano Boeri, uno degli architetti più impegnati nelle trasformazioni urbane in tutto il mondo e autorevole componente di COIMA City Lab, per un confronto sulle caratteristiche delle città del futuro sulle quali il gruppo di lavoro si è concentrato. Boeri ci invita a considerare l’esistenza di una connessione tra la crisi pandemica e quella climatica, “una situazione che ci deve spingere a trovare una nuova relazione tra essere umano e natura vivente”, visione alla base del suo più recente progetto architettonico per Milano, Torre Botanica.

Torre Botanica

Torre Botanica, l’idea di Stefano Boeri
per riportare in vita il Pirellino

“Personalmente credo che chi fa il progettista, ovvero chi lavora sull’anticipazione del futuro degli spazi abitati, debba provare a immaginare un futuro diverso, che vedo non come una rivoluzione ma come un’accelerazione di tendenze già in corso” osserva Boeri, che aggiunge: “Dobbiamo più in generale renderci conto che siamo probabilmente giunti al capolinea del paradigma della città moderna che conosciamo, fondato su pochi grandi catalizzatori di corpi, flussi e vita collettiva sincronizzata sugli orari casa-lavoro, come le fabbriche, i mercati generali, le stazioni ferroviarie, i centri commerciali”.

È il momento di cogliere fino in fondo la potenza di questa tragedia e di provare a pensare a un modo diverso di abitare il pianeta, le città, gli spazi della vita quotidiana”.

Tra le evoluzioni a cui saremo di fronte c’è la “possibilità di rendere fluidi gli spazi interni, rompendo le distinzioni funzionali e immaginando spazi a geometria variabile. Gli uffici non potranno più essere la somma di luoghi di lavoro individuale, ma dovranno essere realtà di incontro. Il lavoro verrà svolto altrove”. Ripensare all’ufficio in modo diverso, dunque, permetterebbe anche di interpretare e utilizzare in modo nuovo una parte importante del patrimonio edilizio e immobiliare italiano che, da questo punto di vista, è oggi totalmente anacronistico: “In Italia abbiamo uno stock di uffici immenso. Gran parte costruiti negli anni ’70 e ’80, totalmente inutilizzabili. Sono edifici energivori ma soprattutto sono pensati con una logica che era quella del lavoro d’ufficio tradizionale. Tante stanze e tanti luoghi dove c’è la somma del lavoro individuale. Questo oggi non ci sarà più”.

Stefano Boeri, Fondatore di Boeri Studio
e Presidente di Fondazione La Triennale di Milano

Stefano Boeri, Fondatore di Boeri Studio e
Presidente di Fondazione La Triennale di Milano

Al centro delle riflessioni ci sono anche gli spazi residenziali, impattati dal nuovo rapporto casa-lavoro: “Abbiamo capito che gli spazi dell’abitare non erano adeguati ad affrontare un momento storico come quello che stiamo ancora oggi vivendo. Sono spazi spesso troppo rigidi e poi, per chi non ha i mezzi, sono spazi troppo piccoli, per cui lo smart working o l’attitudine a poter lavorare da casa è diventata per molti una condizione quasi impossibile. Immagino un futuro prossimo composto di spazi adattabili, di arredi flessibili, di case capaci di cambiare nel corso della giornata: camere che sono da letto di notte e studi di giorno o letti che diventano tavoli”.

Queste considerazioni su spazi flessibili, adattabili alle esigenze delle persone, si riflettono anche sulla forma delle città e sulla necessità di creare spazi urbani ‘a misura d’uomo’, visione e obiettivo che ispira e motiva il lavoro di COIMA da tanti anni. Conseguentemente centrale, anche nel pensiero di Stefano Boeri e del COIMA City Lab, diventa il concetto di ‘città a quindici minuti’: “oggi dobbiamo pensare a una dimensione urbana in cui ogni cittadino ha i servizi di prima necessità a una distanza congrua. Servizi che comprendono quelli commerciali, culturali e scolastici ma anche la Sanità stessa, se consideriamo ambulatori e centri diagnostici. Il lavoro sul decentramento è fondamentale. Servizi accessibili e raggiungibili entro un raggio geografico di 500 metri a piedi o, al massimo, in bicicletta”.

Vetta del Bosco Verticale con vista su Milano

Vetta del Bosco Verticale con vista su Milano

Una visione delle città del futuro che sembra sottintendere il definitivo superamento di una delle dicotomie fondanti dell’ultimo secolo, quella tra centro e periferia, che sta vedendo sempre più sfumare i propri confini: “Credo sia importante tornare a vivere gli spazi seguendo la logica del quartiere autosufficiente o del ‘borgo urbano’, una realtà metropolitana in grado di collegare le città e i piccoli centri limitrofi in modo logico, mediante zone autonome. Le città devono diventare metropoli transnazionali e ad arcipelagosottolinea Boeri. Un’idea che permetterebbe di trasferire “la vita urbana anche in centri esterni, riabitando i piccoli nuclei che erano stati città in passato e che ci garantiscano un rapporto forte con la natura”.

Un’opportunità quindi per restituire a questi centri una quotidianità più gestibile e proporzionata alle reali esigenze delle persone: “se connessi con il sistema digitale e se resi luoghi di comunità urbana, possono essere un interessante elemento alternativo in contatto con la città”.

Abbiamo di fronte la possibilità di rendere fluidi gli spazi interni, rompendo le distinzioni funzionali e immaginando spazi a geometria variabile. Gli uffici non potranno più essere la somma di luoghi di lavoro individuale, ma dovranno essere realtà di incontro

Spazi flessibili, adattabili alle esigenze delle persone, si riflettono anche sulla forma delle città e sulla necessità di creare spazi urbani ‘a misura d’uomo’ e di ‘città a quindici minuti’: oggi dobbiamo pensare a una dimensione urbana in cui ogni cittadino ha i servizi di prima necessità a una distanza congrua

È importante tornare a vivere gli spazi seguendo la logica del quartiere autosufficiente o del ‘borgo urbano’, una realtà metropolitana in grado di collegare le città e i piccoli centri limitrofi in modo logico, mediante zone autonome. Le città devono diventare metropoli transnazionali e ad arcipelago